The Bookish Reviewer
Uno spazio di confronto sulla letteratura. Scrivo recensioni sui libri che leggo.
Oggi voglio presentarvi un’altra grande scrittrice, che ho scoperto grazie alla collana “Americana” del curata da Veronesi.
Una scrittrice profondamente legata alle sue radici indigene, oggetto di tutti i suoi lavori, che ne risaltano l’ancestralità e la spiritualità.
In questo nuovo appuntamento con la rubrica conosciamo lei: Louis Erdrich.
La conoscevi già? Hai letto qualcuna delle sue opere? Fammelo sapere nei commenti qui sotto 👇🏼🤓
“Incontro d’estate” può essere, di fatto, considerato il primissimo racconto dell’autore, rinvenuto per puro caso dal figlio di Capote nella casa di Brooklyn.
Grady O’Neil, eroina anticonformista e irriverente, che presenta già la bozza di quella che sarà la grande protagonista del suo romanzo più famoso, Holly Golightly di “Colazione da Tiffany”.
Un’ingenua e immatura diciassettenne, smaniosa di vivere la sua vita e la sua storia d’amore con Clyde Manzer, parcheggiatore ebreo, approfittando della partenza dei suoi genitori per conorare il suo sogno d’amore.
Una storia al quanto breve, conclusa troppo frettolosamente, che si consuma rapidamente come una candela che brucia incessantemente, come è arsa la storia d’amore tra Grady e Clyde.
“Arriva sempre un momento in cui ci si domanda, cosa ho fatto? […] Purtroppo però tutti gli specchi sono bugiardi, e a un certo punto, nel bel mezzo di qualsiasi avventura, ci rimandano la solita faccia vuota e insoddisfatta; perciò mentre si domandava cos’aveva fatto, Grady si domandava in realtà cosa stava facendo, come al solito.”
Dopo un’escalation repentina, un vortice di passione, sregolatezza e spensieratezza, subentra inevitabilmente la realtà come un macigno, che rivela il senso stesso delle cose compiute, come uno schiaffo in pieno volto, a mano aperta. Freddo, preciso, bruciante. Così Grady si trova improvvisamente, inaspettatamente, a fare i conti con le sue scelte, catapultata in quel mondo che tanto aveva aborrito e denigrato.
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“La gazza” è il secondo romanzo che leggo dell’autrice, Elizabeth Day; un thriller psicologico che verte sulle conseguenze etiche e morali della maternità surrogata. Un tema caldo, che poco si è prestato al genere letterario, donandomi sì una lettura scorrevole, ma poco centrata.
In definitiva, no, non mi ha convinta assolutamente.
Azzeccato sicuramente è il plot twist che si presenta dopo pochi capitoli, che mi ha lasciato abbastanza spiazzata, non sapendo cosa aspettarmi man mano che procedevo con la lettura.
La tematica centrale del romanzo ha decisamente una rilevanza storica e sociale importante, di cui vengono evidenziati luci ed ombre, anche se portati all’eccesso; al di là di questo, però, la lettura mi ha lasciato interdetta, non soddisfatta, anzi, alquanto delusa, complice anche il finale fin troppo “buonista”.
“Prima di tutto parlerò della rapina commessa dai nostri genitori. Poi degli omicidi, che avvennero più tardi. La rapina è la parte piu importante, perché fece prendere alla mia vita e a quella di mia sorella le strade che da ultimo avrebbero seguito”
Che incipit quello di “Canada”, scritto magistralmente da Richard Ford, Premio Pulitzer, che ha visto entrare uno dei propri romanzi nella classifica dei cento migliori libri in lingua inglese scritti dai primi del Novecento.
È la storia di questa famiglia del Montana e delle sue disastrose scelte egoistiche, sconclusionate, che hanno avuto inevitabili ripercussioni sulla vita dei figli Dell e Berner. Narratore dell’intera storia è lo stesso Dell, più adulto e maturo, che ha acquisito la consapevolezza di dire che “le cose sono imperfette e tuttavia accettabili”; accettabile è stata l’idea della rapina venuta al padre dei ragazzi per la moglie, accettabile la scelta di Berner di scappare e crearsi la propria strada, accettabile l’essere affidato ad un mentore, Arthur Remlinger, in Canada.
Ecco che il titolo prende contezza e si carica del vero significato della storia: il passaggio della frontiera che sancisce il passaggio all’età adulta, “Canada” come luogo di formazione, dove il concetto di fiducia è molto variabile e il prezzo da pagare è sempre troppo alto.
E se ci innamorassimo di un amore che trascende il tempo e lo spazio, di un amore per questo impossibile? Come quando ci innamoriamo di un personaggio di un libro o di una poesia, un legame che viviamo profondamente, che ci fa palpitare, sognare, disperare.
È quello che accade a Malinverno, il bibliotecario di Timpamara, che, per caso fortuito, si ritrova a fare il camposantaro. Un incarico inaspettato, che sarà come una benedizione per Astolfo.
Una prosa elegante e dolce quella di , che racconta una storia universale, commovente, trascinante, surreale, eppure tanto vera.
Una vera coccola che riscalda il cuore.
5 capitoli di un unico ciclo narrativo, una storia autobiografica scritta con grande sagacia, cinismo e irriverenza, un esorcismo letterario come terapia per normalizzare i propri demoni e cristallizzarli nella parola scritta.
“I Melrose” è un romanzo crudo, diretto, volutamente osceno ed esagerato, al contempo estremamente umano, vero, in cui l’umanità calata nella società è rappresentata con struggente realismo, risaltandone soprattutto i difetti, le storture e i vizi.
Degni di nota nello stile di St Aubyn sono i dialoghi, che tanto fanno emergere della personalità dei personaggi: estremamente intelligenti, sagaci, ricci di “black humor” tanto caro agli inglesi.
Tra le pagine risalta lampante l’implacabilità dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, anche verso il protagonista, Patrick, vittima di abusi da parte del padre e dell’assenza della madre.
E’ sicuramente una lettura molto impegnativa, sia per la mole sia per i temi trattati, ma lo stile di St Aubyn alleggerisce il tutto, perfetto nell’esorcizzare i demoni del libro, che, fidatevi, sono davvero tanti.
Sono curiosissima di guardare la serie tv, con protagonista Benedict Cumberbatch nei panni di Patrick, tratta dal libro.
Terzo appuntamento con la rubrica
Rimaniamo in America e conosciamo un’autrice sovversiva, femminista ante litteram, eclettica e innovativa: Edith Wharton.
Prima donna a vincere il Pulitzer; solo recentemente rivalutata.
La conoscete? Avete già letto qualcosa di questa formidabile autrice?
Ottobre è andata così 👻🦇
A voi come sono andate le letture del mese più dell’anno? Fammelo sapere nei commenti e non dimenticare di lasciare un like ♥️
La cittadina di Holt, vero grande protagonista delle storie di Haruf, rimane sullo sfondo in “La strada di casa”, incombendo sui personaggi, accalappiandoli e legandoli a sè.
Una storia semplice, immediata, cupa, rischiarata a tratti da brevi sprazzi di luce, ferocemente e rapidamente oscurati, cancellando qualsiasi proposito di speranza.
Tema sotteso e ricorrente nei libri di Haruf è l’assenza di giustizia che regna indisturbata nella provincia americana: una critica tagliente, sottile, che seziona a cuore aperto la società americana, irrimediabilmente compromessa.
Pagine che scorrono veloci, così l’escalation degli eventi, soggetti ad un destino ineluttabile, già scritto e leggibile fin dalle primissime pagine.
“Il party” di Elizabeth Day mescola diversi generi letterari, che vanno dal thriller psicologico al racconto di formazione, fino al poliziesco, che gioca con diversi piani temporali. Si sviluppa, infatti, tra il presente, raccontato dalla voce del protagonista, Martin, e il passato, dalla sua adolescenza, quando ha conosciuto Ben, fino agli eventi sconvolgenti dell’esclusivo party organizzato dai Fotzmaurice nella loro nuova dimora.
Un’amicizia ambigua è quella che lega sin dall’inizio l’introverso Martin al più carismatico ed avvenente Ben Fitzmaurice, un rapporto malsano, ossessivo, possessivo, di cui si evince anche la latente omosessualità. Ben diventa immediatamente un’ancora di salvezza per Martin, una personalità da venerare e idolatrare, un’amante da vezzeggiare e proteggere. A sancire e suggellare il loro legame è un evento tragico, rivelato solo sul finire della storia, un “segreto” che renderà Ben debitore nei confronti di Martin e da cui cercherà di liberarsi.
L’intera storia è strutturata su un pathos crescente di tensione e suspence, che, però, culmina in un finale del tutto privo di nota, deludente.
Deludente è sia il “segreto” che lega i due uomini sia l’evoluzione e la conclusione degli eventi al party.
Una storia “in potenza” avvincente, un vero thriller psicologico, ma “in atto” priva di quella verve, di quel mordente che richiede il genere.
“Le metro invisibili” è “un susseguirsi di incontri, reali o onirici, […] incluso in capitolo che portano il nome di una fermata della Metropolitana, il lento fiume sotterraneo, carsico, che accompagna le peripezie del protagonista […]”.
La “scusa” del racconto è la ricerca, disperata, straziante, di Lei, persa in un passato remoto, che compare fugace per poi sparire e lasciare un vuoto incolmabile. Ma la vera protagonista, che sottende a tutte le vicissitudini narrate, è Milano, quella eclettica, multietnica, rumorosa, assordante, inarrestabile, ma anche quella silenziosa, trascurata, malinconica, reietta.
La caratteristica che salta lampante all’occhio del lettore è la struttura del tutto particolare del libro, prodotto della “Scrittura Stereo” inventata dall’autore: “tre letti di fiume che graficamente compongono le pagine”, tre parti grafiche “come a simulare le nostre sensazioni uditive (una sorta di “panning grafico”); in questi spazi Argirò cerca “di restituire la frammentazione della realtà in cui ognuno è immerso, tra percezioni sensoriali, pensieri e ricordi.”
Leggere “Le metro invisibili” è una scoperta ed una sorpresa continua: la lettura procede a zig zag, alternando il flusso principale del racconto a immagini, istantanee come polaroid, appiccicate lì alla pagina, che amplificano i sensi del lettore, permettendogli un’immedesimazione totale nella storia.
Non perdetevi questa esperienza unica nel suo genere, in uscita il 2 novembre per
Universalmente riconosciuto come una delle massime voci della letteratura statunitense contemporanea, ne “Il potere del cane” Thomas Savage scandaglia le profondità più oscure dell’animo umano, rivelandone tensioni, desideri e repressioni.
La trama in sé per sé è molto semplice, non ci sono colpi di scena o plot twist inaspettati, al contrario, la storia procede molto linearmente, eppure l’intera vicenda e, soprattutto, il suo epilogo lasciano il lettore completamente interdetto, spiazzato.
Con il suo stile scevro e chiaro Savage costruisce personaggi magistrali, ben delineati, titanici, con un mondo sconfinato dentro. Attraverso brevi e concisi dialoghi e altrettanto scarne descrizioni, Savage chiarisce ambizioni, pensieri e ansie dei personaggi.
Molto complesso è il personaggio centrale della storia, Peter Gordon, il figlio di Rose, la vedova che George ha deciso di sposare. Un’anima fragile, sensibile, estremamente introversa, brillante ed intelligente, dotata di grande raziocinio e capacità di calcolo, un personaggio completamente agli antipodi con Phil, il fratello di George, intransigente e con una mascolinità portata all’eccesso, estremizzata, quasi a voler reprimere e opprimere una natura che, in verità, è molto simile a quella di Peter.
Lo scontro tra i due è subdolo, molto sottile, lo si evince dai dialoghi tra i due, ridotti all’osso, alle comunicazioni essenziali, eppure la tensione tra i due è palpabile e aumenta man mano che si procede con la lettura della storia.
Lo stile asciutto di Savage è tipico della letteratura western, privo di fronzoli e sentimentalismi, ma se gli si dedica una più attenta lettura, si scopre una complessità ed una profondità disarmanti: dall’omosessualità repressa alla denuncia della ghettizzazione degli indiani nativi d’America, attraverso un’analisi approfondita della società che tanto poggia su apparenze e convenzioni. Un’opera profonda, matura, che si presta a diversi livelli di lettura.
Non potevo esimermi dal suggerirvi qualche lettura per approfittare del -20% su tutto il catalogo (che è una delle mie CE preferite).
Il catalogo è vastissimo, scegliere è stato davvero difficili, ma vi lascio i miei 3 Bompiani IRRINUNCIABILI.
Quali lo sono per te? Fammelo sapere nei commenti 🤓👇🏼
Altro appuntamento con la nuovissima rubrica 🤩
Per restare in tema con l’ultimo post, oggi vi propongo l’autrice più prolifica della letteratura americana, un vero pilastro portante: Joyce Carol Oates.
Una figura quanto mai eclettica e affascinante, soprattutto per la tematica oggetto di quasi tutta la sua produzione: il Male.
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate, vi leggo nei commenti ✌🏼
Tra le autrici americane più prolifiche di sempre, Joyce Carol Oates è stata una grande scoperta per me.
Un’autrice che mette in scena il Male, ma quello più comune, normale, che accumuna tutti gli uomini, e ce ne dà dei grossi esempi.
“Sorella, mio unico amore” si ispira a fatti di cronaca realmente accaduti, come quasi tutte le opere della Oates: l’omicidio di una giovanissima promessa dell’iceskating.
Grazie all’omicidio e alla sua ricostruzione, l’autrice tratteggia a tinte fosche e cupe le dinamiche di una normale famiglia americana, che nasconde un’oscura natura, fatta di segreti, rimpianti e rimorsi, privazioni, insoddisfazione.
Il racconto dal punto di vista del fratello della vittima è immediato e colpisce dritto al punto.
Una narrazione serrata, ricca di spunti riflessivi.
“Mentre morivo” di Faulkner, premio Nobel per la letteratura nel 1949, è il classico esempio della letteratura Southern Gothic; la storia ruota intorno al rito di sepoltura della madre della famiglia Burden, per “soddisfare il suo capriccio”.
La caratteristica principale dell’opera è la coesistenza di diversi punti di vista, corrispondenti ai diversi personaggi che di capitolo in capitolo “prendono la parola” per narrare gli eventi. In questo modo si delineano diverse personalità, tutte contraddistinte e definite della famiglia Burden, riunita per affrontare il viaggio per raggiungere il punto di sepoltura designato.
Il viaggio, come già presagito sin dalle prime pagine dell’opera, si rivelerà una vera e propria epopea, carica di simbolismi. Attraverso i dialoghi e i monologhi interiori l’autore affronta tematiche esistenzialiste legate all’ineffabilità dell’essenza della vita, che donano grande maturità e dignità ad un quadro che ritrae perfettamente la comunità rurale americana dell’epoca.
L’intero racconto, con il suo ritmo estremamente lento ed esasperante, esprime una tensione verso qualcosa di ignoto, che si trova al di là, qualcosa che incombe minaccioso, ma inesorabile: “l’eternità è una cosa terribile da affrontare”.
La vera protagonista, che emerge possente in ogni pagine, è Addie, il ca****re che deve essere seppellito; donna, il cui destino era già scritto, proprio perché donna: sacrificio e infelicità, senza alcuna possibilità di fuga.
Potente è il suo unico monologo, all’inizio del libro, che esprime tutto il cinismo e il disincanto di una vita: “avevano dovuto usarci l’un l’altro con parole, appesi per la bocca come ragni a una trave, che oscillano e si attorcigliano senza toccarsi mai, e che solo attraverso le spinte del maschio il mio sangue e il loro potevano scorrere come un solo flusso […] Ma era da un pezzo che avevo fatto l’abitudine alle parole. Sapevo benissimo che quella parola [Amore] era come tutte le altre: semplicemente una forma per riempire un vuoto. […]”.
Un’opera carica di pessimismo e di ansia, di paura, mitigati, però, da uno stile asciutto e limpido, che crea una vera e proprio tempesta in colui che legge l’opera.
Eccovi la nuova rubrica 🤩 per conoscere e approfondire autori/autrici che mi hanno particolarmente colpito.
Inauguro la rubrica con Jesmyn Ward, un’autrice americana contemporanea, unica donna a vincere per ben 2 volte il National Book Award, premio doppiato da autori del calibro di Faulkner e Roth.
Un’autrice potente, con uno stile evocativo, ma molto ancorato alla realtà dei suoi giorni.
Vi consiglio di recuperare le sue opere 🙏🏼
Come sempre, se ti è piaciuto il post, non dimenticare di mettere un like e di salvarlo 🤓
Fammi sapere cosa ne pensi della nuova rubrica , ti leggo nei commenti 👇🏼
Romanzo d’esordio di Alessandro Piperno, “Con le peggiori intenzioni” creò molto scalpore quando venne pubblicato, generando una lunga sequela di pareri discordanti e non poche stroncature.
E’ l’epopea della famiglia Sonnino, un nucleo di ricchi ebrei romani, dal capostipite, l’irriverente, sui generis, nonno Bepy, fino ai giorni meno gloriosi del nipote, Daniel, il cui io più vecchio è la voce narrante dell’interno romanzo. Un’opera che strizza molto l’occhio a “Il lamento di Portnoy” di Roth.
Azzeccatissima è la descrizione dei diversi personaggi che si affacciano sulla scena, a partire da Bepy, un personaggio che ha del caricaturale, talmente tanti i difetti e i vizi che, però, incarna perfettamente l’uomo del suo tempo, arricchito grazie ad una proficua società con il collega Nanni Cittadini: sono gli anni ’60, gli albori del boom economico, dove tutto era possibile, spinti da un vivace vitalismo.
Nucleo centrale del racconto è un evento che vede protagonisti lo stesso Daniel e la nipote di Nanni, evento che verrà dosato poco alla volta durante il racconto, per poi essere svelato solo alla fine, perché da lì saranno poi chiari al lettore tanti dettagli calati nel corso del racconto.
Una scrittura sagace, cinica e diretta quella di Piperno, e capisco perché quest’opera abbia così tanto diviso i pareri.
E’ un romanzo sull’adolescenza e le sue incomprensioni e ingenuità, su una società devota al dio denaro, dove la trinità è rappresentata da lussuria, lusso e esaltazione dell’io, i falsi miti del vitalismo tipico di quegli anni: “[…]Per la ragione più antica del mondo: furbizia, sostenuta dal desiderio di esistere: valorizzare il poco che la vita ti offre. Estremizzarlo. Renderlo appetibile agli altri, a costo dell’inganno inflitto a se stessi.”
Un’opera sicuramente non immediata, che o si accetta per quello che è o si rifiuta “apotropaicamente” (aggettivo molto caro all’autore).
Per comprendere a pieno uno degli eventi più significativi ed incisivi della storia americana del secondo dopo guerra, ossia l’assassinio del presidente JF Kennedy, bisogna leggere due libri: “American tabloid” di Ellroy, di cui vi ho parlato in una , e “Libra” di Don DeLillo, proposto nella collana “Americana” del .
Due cifre stilistiche completamente distanti, agli antipodi, con intenzioni ed “azioni” diverse: tanto è impetuoso Ellroy, quanto è ponderato e “filosofico” DeLillo.
Il filone complottistico alla base delle due opere è il medesimo, perché non si può non pensare ad uno sviluppo del genere nel caso Kennedy, che pure ha dato adito a molteplici interpretazioni e teorie.
La psicologia dei personaggi, soprattutto di Oswald, è pennellata egregiamente e a fondo da DeLillo, nella cui opera si respira una certa aria esistenzialistica, che dà margine a sviluppi molto più profondi e complessi.
In “Libra” si seguono parallelamente due filoni narrativi: uno è quello di Oswald, che male si adatta al mito americano e al suo stile di vita; il secondo è quello dei frustrati, ex agenti CIA rifilati in posti di secondo piano, i veri ideatori del Piano. Il minimo comune denominatore: l’insoddisfazione; la volontà di elevarsi e dimostrarsi capaci di qualcosa di grandioso. Quindi: perché non organizziamo un bell’attentato contro il presidente? Così da far ricadere la colpa su Castro? Troppo cocente la vergognosa disfatta alla Baia dei Porci.
DeLillo segue i mille fili rossi appuntati con delle puntine su una lavagna di sughero, come un bravo detective, che si scervella giorno e notte per avere il quadro completo, come farà il suo alter ego, Nicolas Branch, incaricato di redigere un dossier completo sul complotto. Ma l’opera apparirà sin da subito macchinosa, arrancante, pretenziosa, come la lettura dell’intero libro; la stessa complessità che si sviluppa mentre si legge “American tabloid”.
Un romanzo potente sulla vita e sull’amicizia, su come questa venga consolidata nel corso degli anni e su come possa essere spezzata in un attimo, “Tre” di Valèrie Perrin è sicuramente tra i romanzi più belli letti in questa prima metà del 2023.
Prerogativa della Perrin è la scrittura immediata e suggestiva, potente e leggera, caratterizzata da piani temporali sfalsati, parti dialogiche intervallate da parti descrittive, che conferiscono una certa melodia alla trama.
Tre sono i protagonisti del romanzo: Nina, Etienne e Adrien; tre personalità completamente diverse, che si completano vicendevolmente, il cui fulcro, colonna portante, è rappresentato da Nina, “ha la grazia di una cerbiatta. Sopracciglia e ciglia nere su occhi d’ebano.”, una personalità spumeggiante, amorevole, socievole, cresciuta tra le braccia del nonno, a cui fu affidata da una madre troppo superficiale, troppo menefreghista.
Etienne è, invece, la personalità più carismatica del trio, ammirato da tutti, figlio di una famiglia borghese, bello e impossibile; Adrien, al contrario, è la personalità più sensibile e timida dei tre, che resta sempre in disparte, un grande osservatore, dall’animo gentile.
Ma a fungere da narratore onnisciente della storia dei tre è un quarto personaggio, Virginie, che potrebbe essere una vecchia compagna di scuola dei tre protagonisti, ma che è sempre rimasta in disparte, desiderosa e, al tempo stesso, timorosa di far parte di quel trio.
La storia si srotola come un gomitolo, ripercorrendo a ritroso dei pezzi che presentano dei nodi, fondamentali nella trama del racconto, come la scorsa di una giovane fidanzata di Etienne, Clotilde Marais, che aggiunge quel tocco di mistero che non guasta mai in un romanzo.
Un romanzo corposo, con le sue quasi 600 pagine, ma che scorre via veloce, trascinando il lettore tra le pieghe del tempo, tra continui flashback e immersioni nel presente della storia.
Il finale è assolutamente sorprendete, di una profondità, di una dolcezza e di una sensibilità uniche. “Tre” è davvero una perla.
Con l’acquisto di 2 titoli del catalogo ricevi in omaggio l’edizione speciale fuori commercio di uno dei bestsellers del catalogo: “Una rosa sola” di Muriel Barbery, “La vita bugiarda degli adulti” di Elena Ferrante, oppure “La caduta del sole di ferro” di Michel Bussi.
Ho approfittato della promo per acquistare:
• Ritratto newyorkese, il nuovo romanzo di Maurizio Fiorino;
• L’apparizione di Victoria Mas, autrice che ho apprezzato molto già con “Il ballo delle pazze”.
Scorri il carosello per scoprire il titolo omaggio che mi è capitato!
Tu hai approfittato della promo? Che titoli hai preso?
Anche questo mese non poteva mancare l’appuntamento con la 🤩
Un mese ricco di letture, alcune molto interessanti, altre del tutto “particolari”.
E tu? Cosa hai letto nel mese di settembre? Hai letto qualcuno di questi titoli? Fammelo sapere nei commenti 🤓
“Adamo Busoni. Tre passi indietro”, romanzo di Marco Saverio Alessandro Mazzinghi edito Mauro Pagliai Editore, è la storia del professor Busoni, che, a seguito di uno sfortunato incidente, si ritrova “vittima” di una serie di stranissimi viaggi spazio-temporali. Si ritroverà, infatti, immerso in tre epoche diverse, in cui vivrà fatti storici che ha solo potuto studiare nei libri di Storia, da sempre suoi compagni di vita.
Parte tutto da un leggero formicolio al braccio, poi improvvisamente la realtà si aggroviglia, come un serpente a sonagli, e si trasforma, catapultandolo presso la corte di Cosimo il Vecchio, o nelle stanze di Villa Mansi al cospetto della sanguinaria vedova Mansi, o, ancora, a tu per tu con Matilde di Canossa.
La rievocazione storica, così come i personaggi e le vicende raccontante, sono strettamente veritiere, la conoscenza “storica” dell’autore è impressionante, denotando uno studio attento ed approfondito da parte di Mazzinghi.
La storia ha anche un più ampio respiro; tratteggia, infatti, seppur superficialmente, il tema della malattia, perché di questo si tratta agli occhi di Adamo: uno strano disturbo, che lo lascia privo di memoria e disorientato.
La sua ancora di salvezza sarà Debora, la dottoressa che lo prenderà “in cura” e che lo ancorerà al “qui ed oggi”, dove costruire un futuro insieme.
Una storia ricca di colpi di scena, pregna di Storia, ma anche di sentimenti, che accompagnano il lettore dalla prima all’ultima pagina.
Ringrazio per le proposte sempre molto interessanti!
“Middlesex” è un’epopea moderna, storia di una famiglia grega, che fugge a seguito dell’invasione turca verso i più verdi lidi americani. Una storia che attraversa il ‘900, un’epoca frizzante, pregna di eventi decisivi, che segnano la vita della famiglia Stephanides.
A raccontare le vicende dei nonni prima e dei genitori poi è Cal, che dipana a ritroso il filo della storia familiare, risalendo controcorrente le acque del tempo, fino al “peccato originale”, causa di quelle surreali vicissitudini e di quell’ereditarietà, al quanto rara, che determinerà un’evoluzione rivoluzionaria e sorprendente per la protagonista.
Mai titolo fu più azzeccato per un’opera: Middlesex è non solo il luogo dove approda la famiglia Stephanides, ma anche l’essenza stessa di Cal, che scopre la propria “bizzarria sessuale”, causata da un gene recessivo, durante i già difficili anni dell’adolescenza.
Incisivo è l’incipit del romanzo: “Sono nato due volte: bambina, la prima….e maschio adolescente, la seconda”. Cal, infatti, nasce Calliope, con grande gioia dei genitori, che tanto hanno voluto e cercato una bambina da vezzeggiare e adorare. E quanto rimarranno sconvolti alla diagnosi del dottore Luce: Calliope è un’ermafrodito, geneticamente maschio, ma cresciuto come una femmina. Da qui il dilemma shakespeariano: continuare a far finta di nulla o sottoporre l’adolescente ad un’operazione che determinerò definitivamente il percorso della sua vita?
“Non è così semplice. Io non corrispondo a nessuna di queste teorie, né a quella della biologia evolutiva né a quella di Luce. Il mio assetto psicologico non corrisponde nemmeno all’essenzialismo diffuso nel movimento intersessuale. Al contrario di altri cosiddetti pseudoermafroditi maschi di cui si è occupata la stampa, io non mi sono mai sentita fuoripista come ragazza. Continuo a non sentirmi del tutto a mio agio tra gli uomini.” Quindi, perché la necessità di etichettare, ascrivere una persone a una categoria sessuale? “E cos’ sta nascendo una nuova e strana possibilità. Compromessa, indefinita, abbozzata, eppure non del tutto rimossa: il libero arbitrio. La biologia ci dà un cervello, la vita lo trasforma in una mente.”